Video e omelia della Messa del Centenario

 

Testo dell’omelia del cardinale Dionigi Tettamanzi, nella Messa del Centenario (29 settembre 2013):

Carissimi vi saluto tutti, nel nome del Signore Gesù e con l’affetto del suo cuore. Che il cuore di ciascuno di noi possa essere riempito, in questa celebrazione, dalla grazia, dalla pace e dalla gioia del Signore.

Con questa celebrazione noi vogliamo ricordare i primi cento anni di vita di questa nostra parrocchia di Santa Croce. I primi cento anni! Viene spontaneo, allora, tornare indietro nel tempo, di un intero secolo, per ritrovarsi alle sorgenti, alle origini di questa Chiesa di Dio, il popolo in festa che siete tutti voi.

Alle sorgenti troviamo la figura di un grande Beato della Chiesa ambrosiana, il cardinale Andrea Carlo Ferrari, un vescovo in mezzo al popolo, al servizio del popolo e che si preoccupava che questa periferia di Milano fosse provvista di un luogo di culto, di un ambiente di fraternità, di una realtà capace di ricordare a tutti l’amore misericordioso del Signore.
Un’altra figura che è all’origine della nostra comunità parrocchiale è quella di San Gaspare Bertoni che ha fondato i suoi figli Stimmatini. Sono stati chiamati, sono ancora presenti e ci auguriamo che abbiano a continuare, ancora molto, a servire, nel nome del Signore Gesù, questa bella comunità parrocchiale.

I primi cento anni ! Noi oggi vogliamo ricordare il presente, vogliamo ricordare che significato ha il richiamo che ci viene da questo primo centenario di vita. Allora io voglio rifarmi ad una frase che ho visto citata su Avvenire la scorsa domenica. Una frase che è stata presa dall’ultimo grande documento del Concilio Vaticano II, la “Gaudium et Spes”. È una frase piccolissima, ma è molto caratteristica e affascinante. Dice questa frase “La Chiesa cammina con l’umanità tutta”.

Non può essere diversamente perché la Chiesa è il Corpo vivo di Cristo, nella storia e, come il Signore Gesù è rimasto dentro il suo popolo e si è messo al servizio del suo popolo, così la sua Chiesa non ha altra missione che questa, essere dentro, in mezzo alla gente, al servizio della gente e di rispondere alle esigenze più impellenti che la vita di tutti ci presenta: l’esigenza più forte è l’esigenza di essere liberi dentro, di essere sereni, coraggiosi e pieni di speranza perché non siamo soli, perché con noi c’è sempre il Signore. La Chiesa in cammino con tutta l’umanità.

Pensando a questa frase mi sono detto: è possibile in qualche modo completarla o, se volete, rigirarla e parlare di un’umanità che cammina insieme alla Chiesa, magari senza accorgersi, magari in maniera inconsapevole? Di fatto, l’umanità ha dei bisogni, delle istanze, delle attese che non riesce a soddisfare con le sue forze e quindi ha bisogno di una forza superiore, di una grazia che non viene dalla terra ma dal cielo. E allora, in qualche modo, l’umanità viene incontro alla Chiesa così come la Chiesa va incontro all’umanità. Sto pensando a quello che, ultimamente, ci sta dicendo Papa Francesco quando dice che la Chiesa non deve essere autoreferenziale, non deve essere chiusa in se stessa ma deve andare, deve raggiungere le periferie, non quelle spaziali ma quelle più radicali, che sono dentro di noi, le periferie esistenziali. Anche il cuore di ciascuno di noi, a ben pensarci, appartiene a queste periferie esistenziali. Allora, in questo senso, ricordare i cento anni di vita cristiana della nostra Parrocchia, diventa per tutti noi un invito a uscire da noi stessi e, riempiti dalla grazia del Signore, andare incontro ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, a tutti, senza alcuna distinzione, per offrire loro quanto di più prezioso ci è stato dato in dono, cioè l’amore di Cristo per tutti e per ciascuno di noi.

Io so che quest’anno la Chiesa ambrosiana e voi in una maniera particolarissima, avete vissuto il centenario dell’Editto di Costantino. L’Editto di Costantino si è limitato a dire che la libertà religiosa è un diritto; ma anche quando c’è questo diritto ed è soddisfatto, noi dobbiamo dire che c’è una libertà ancora precedente alla libertà religiosa, più importante, più necessaria per la nostra vita ed è la libertà del cuore che non è schiavo dell’egoismo, del male, dell’ingiustizia, del peccato, ma è libero e a renderlo libero, questo nostro cuore, è soltanto il Signore con il suo amore.

Oggi, ricordando i cento anni di vita della nostra parrocchia, dobbiamo ispirarci non tanto alla libertà religiosa quanto alla libertà più profonda e di questa libertà ci ha parlato il Signore stesso nelle tre letture che abbiamo ascoltato. Una lettura che ci rimanda indietro, che ci fa vedere il popolo di Dio in cammino nel deserto che comincia a lamentarsi con Dio stesso e con Mosè perché il deserto non offre da mangiare, non offre da bere, non offre motivi di speranza e di coraggio. E il lamento raggiunge il suo vertice quando il Signore, per purificare e riconquistare il suo popolo, gli manda di fronte serpenti velenosi che, mordendole, uccidono le persone. Allora, questo popolo di Dio si ravvede, chiede perdono al Signore e chiede a Mosè che interceda perché il Signore faccia il miracolo di non essere più morsicati e così saranno salvati dalla morte.

Il Signore chiede a Mosè di fare un serpente di bronzo; quando qualcuno sarà morsicato guarderà il serpente di bronzo e sarà salvo. E’ un fatto storico ma è anche un fatto profetico questo. Parla non soltanto del passato, della storia del popolo d’Israele nel deserto ma parla anche del nostro presente e il nostro presente noi lo troviamo nel Signore Gesù. Il vero serpente che ci toglie dal veleno del male e del peccato è il Signore Gesù che è venuto in mezzo a noi.

Ce l’ha detto ancora una volta il brano del Vangelo dove Gesù, in un colloquio notturno affascinante con Nicodemo, dice che Dio ha tanto amato il mondo da mandare suo figlio per la nostra salvezza. Noi siamo liberi dal male, dal peccato, dall’ingiustizia, dalla violenza, dall’egoismo, da tutto ciò che è negativo nella vita personale, familiare, sociale e siamo resi liberi proprio da questo amore immenso che Dio ha per noi e che ha manifestato mandando suo figlio il quale, a sua volta, non ha avuto paura dell’umiliazione, facendosi uomo come noi e non ha avuto paura dell’obbedienza che gli è stata richiesta, di andare fin sulla croce per tutti e per ciascuno di noi.

Allora dobbiamo ringraziare il Signore di questa libertà dal male e dal peccato, di questo dono positivo dell’amore che il Signore deposita nel nostro cuore e, guardando a questo amore, non possiamo trattenerlo egoisticamente dentro di noi, ma siamo chiamati a testimoniare, ognuno nella propria vita, nei propri gesti quotidiani, in quanto stiamo facendo dalla mattina alla sera, che siamo stati affascinati, conquistati e salvati dall’amore di Cristo e che quindi vale veramente la pena di seguire questa esperienza di vita perché, solo così, noi saremo nella vita vera, saremo nella pace, saremo nella gioia.

Concludo dicendo che mi è stata fatta leggere la lapide che è stata messa a ricordo di questo primo centenario della Parrocchia. Ricordo soltanto le due ultime righe, ma penso che siano le più importanti. Vorrei dirle a tutti voi come un augurio che faccio a ciascuno, con una preghiera che assicuro particolarmente intensa in questa Eucarestia. Celebrando il Centenario noi, innanzi tutto, ringraziamo il Signore della fede che ci è stata data come uno dei doni più preziosi della nostra vita e però noi allora, questo dono lo dobbiamo riscoprire, lo dobbiamo rivivere con maggior freschezza, con maggior entusiasmo, con la gioia nel cuore perché, solo così, questo dono che abbiamo ricevuto non lo tratterremo per noi. Nel prossimo centenario di questa comunità parrocchiale, da un’altra sponda della vita che affonda nell’eternità, ringrazieremo il Signore e potremo dire: anch’io ho contribuito attivamente perché la fede, il dono più grande che Dio ci dà, continuasse nel tempo e fosse, davvero per tutti, per i passati, per i presenti, per i futuri la forza che è capace di dare coraggio, entusiasmo, serenità, gioia e speranza.

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